lunedì 4 febbraio 2008

Serbia: vince Tadic



La Serbia che guarda all'Europa e l'Europa che guarda alla Serbia possono tirare un sospiro di sollievo. Il capo dello Stato uscente Boris Tadic, garante della transizione alla democrazia avviata nel 2000 dalla maggiore repubblica ex jugoslava con l'abbattimento del regime di Slobodan Milosevic, e' riuscito a spuntarla nel ballottaggio col rivale ultranazionalista Tomislav Nikolic: campione della retorica slavofila e delle recriminazioni anti-occidentali, pronto a cavalcare risentimenti dalle conseguenze imprevedibili contro la preannunciata indipendenza unilaterale della provincia a maggioranza albanese del Kosovo.
Il margine ristretto - largamente atteso - e gli opposti proclami avevano suggerito inizialmente prudenza. Ma le proiezioni del Cesid prima e i risultati ufficiali poi hanno sciolto la tensione: Tadic, battuto di 4,5 punti al primo turno, ribalta di nuovo il tavolo come nel 2004, con un 51% di suffragi contro 47,3. Un vantaggio contenuto, sceso dai 300.000 voti in piu' di quattro anni fa ai 150.000 di oggi, ma sufficiente a sbarrare il passo alla rivincita del delfino quieto di Vojislav Seselj: fondatore dello Partito radicale serbo e ora imputato dinanzi al tribunale dell'Aja (Tpi) per complicita' nei crimini di guerra degli anni '90.
Da Bruxelles, la presidenza Ue si e' fatta sentire a tamburo battente per felicitarsi e ribadire il proprio impegno a coinvolgere Belgrado in una prospettiva d'integrazione.
E' stato quindi lo stesso Nikolic, dopo il timido richiamo alla piazza di un paio di pretoriani, a chiudere la porta a ogni degenerazione, riconoscendo il successo dell'avversario e congratulandosi con lui. Un finale che getta una luce di fair play su una contesa pluralista, ma a tratti molto dura.
La competizione, svoltasi all'ombra dell'imminente secessione del Kosovo (contestata da Belgrado, ma spalleggiata dagli Usa e dalla maggioranza dei Paesi Ue), si e' rivelata in effetti alla fine una delle piu' combattute e partecipate degli ultimi anni.
L'affluenza alle urne, attestasi al 67,6% dei 6,7 milioni di cittadini aventi diritto, e' stata la piu' elevata nella storia della Serbia del dopo-Milosevic. ''La gente ha capito la posta in gioco - ha spiegato il politologo belgradese Ivo Viskovic - e ha determinato l'esito della sfida con la sua partecipazione'', a dispetto di un malcontento sociale su cui il tasso di disoccupazione (30% circa), gli stipendi medi da 300-350 euro e le persistenti denunce di corruzione pesano di piu' rispetto ai risultati delle riforme strutturali avviate dopo l'isolamento e le malversazioni dell'era Milosevic o ai dati macroeconomici che pure accreditano alla Serbia una crescita annua del 7,5%.
Il confronto e' stato alla fine fra due idee opposte del futuro del Paese. Orientato verso l'Europa nei progetti di Tadic, verso il sogno di un asse con la Russia (ma piu' probabilmente verso l'isolamento) nel caso di Nikolic: spiazzato nei giorni scorsi dalla pragmatica decisione della stessa amministrazione Putin di sottoscrivere con Boris Tadic (e con il premier Vojislav Kostunica, vero interlocutore serbo del Cremlino) il patto di ferro energetico Gazprom-Nis. ''Un referendum'' sulle speranze di adesione di Belgrado all'Ue: cosi' il presidente in carica ha definito il senso di questo ballottaggio, fedele alle sue parole d'ordine nel seggio in cui stamattina ha votato come nelle dichiarazioni a caldo a urne chiuse diffuse mentre gia' i simpatizzanti festeggiavano in clima balcanico al suono trascinante delle trombe dei musicanti zingari.
L' obiettivo - ha affermato - e' quello di ''continuare il cammino iniziato dalla Serbia il 5 ottobre 2000'' con la cacciata a furor di popolo di Milosevic e compagni. Gli approdi finali restano ''l'integrazione europea e una vita migliore per i cittadini''. Orizzonte che non esclude il dissenso sull'indipendenza del Kosovo, al cui riconoscimento - frenato in sede Onu dall'appoggio di Mosca alle posizioni di Belgrado - anche Tadic si oppone: ma senza alcun rigurgito di velleita' belliche e senza voler spingere la questione fino alla rottura con Bruxelles.
Una scelta, quest'ultima, manifestata con chiarezza anche di fronte alle reazioni emotive che l'argomento accende fra i serbi. E che gli e' costato il mancato sostegno ufficiale del primo ministro conservatore Kostunica, suo alleato di governo, ma piu' vicino alle posizioni irriducibili dei nazionalisti sullo spinoso dossier kosovaro, dal quale Tadic si e' smarcato riuscendo infine a vincere da solo. Le eventuali rese dei conti politiche appartengono comunque al futuro prossimo.
Stanotte, per i sostenitori del presidente, e' tempo di celebrare in Piazza della Repubblica, luogo simbolo della Belgrado democratica. ''Abbiamo fatto un passo in avanti'', ha detto loro Tadic, consapevole delle incognite e dei problemi aperti: dalla ''lotta a corruzione e criminalita''', alla caccia a Ratko Mladic e agli ultimi ricercati per crimini di guerra tuttora latitanti, allo stessa gestione dell'affaire Kosovo. Ma anche consapevole di aver almeno scongiurato lo spettro d'un ritorno al passato.

di Alessandro Logroscino

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